giovedì 12 novembre 2009

Sì, togliamolo il crocefisso

Hanno sferrato un bello sputo in viso ancora a Lui, che da sempre li fa arrabbiare. Gli hanno ricordato che da fastidio. E allora dico sì, leviamolo. Cominciamo di nuovo a segnarlo a graffiarlo sui muri il crocefisso, a disegnarlo in forma di pesce, di altro perché non lo riconoscano gli occhialuti signori della corte.
Io, cristiano, dico leviamolo il crocefisso. Facciamo come fece Cristo di fronte al Sinedrio. Non rispose, non stette a perder tempo con chi voleva già condannarlo. Non disse d'essere un bene culturale da conservare. Si fece levare di torno, per splendere sanguinante e bellissimo d’amore per sempre davanti agli occhi di tutti. I giudici si illuderanno di aver salvato la convivenza, che invece di fronte al nulla che stanno creando finirà per strappare via rabbiosamente tutti i simboli, tutti i parlamenti, tutte le corti e tutte le loro stesse panciute sicurezze di diritto. Lasciamo che mister Z dorma il suo sonno beato di ideologo travestito da giudice vincitore. Il suo sonno della ragione.
Davide Rondoni, clanDestino Zoom n. 320 - 10.11.2009

lunedì 28 settembre 2009

Salvate il soldato Gennaro. E anche i nostri bambini.

Dopo il funerale dei sei giovani soldati, la retorica ha grondato ovunque. Ma pur nel brodo e nella melassa, è emerso un purissimo, maestoso e umile pezzo di realtà. Che è la realtà del cuore. Ferito e desideroso di bene per coloro che sono stati colpiti dal dolore: i bimbetti, le madri, le fidanzate, le spose e i compagni… La commozione reale, insomma, che in tutti ha rintoccato. Più vera e più forte di ogni altro sentimentalismo. Sotto le emozioni più forti e passeggere. Un pezzo di realtà puro, magari per un istante, è emerso: il pezzo di realtà chiamato cuore. Chenon è la somma confusa dei sentimenti, i quali per loro natura sono volatili e spesso contradditori. Ma che è il punto di noi in cui si chiarisce (sì, si chiarisce, anche se lo avvolgono le nebbie) che cosa è la vita e per che cosa è fatta. Il cuore è quel pezzo di realtà che ci permette di guardare e giudicare la realtà intorno a noi. Nell’ammirazione per il sacrificio di quei ragazzi è emerso il cuore. Nella addoloratissima simpatia per quelle famiglie semplici, mica perfette, amanti, legate, è emerso il cuore. Nella commozione perché la vita no, non è il paradiso e ci vuoleun altare davanti a cui chiedere, e pregare e invocare, è emerso il cuore. E nella considerazione che occorre fare di tutto per salvare i soldati Gennaro, e farli stare là se si deve, ma non invano. Non bisogna occultarlo. Non bisogna vergognarsene. E soprattutto bisogna salvare il cuore nostro e dei nostri bambini dalla corrosione acida di quei maestri o professori che non han voluto far fare il minuto di silenzio per commemorare i soldati. Che hanno accampato macabre scuse (“facciamolo per i morti sul lavoro, piuttosto” –come se si portasse rispetto a un morto offendendone un altro). Che hanno voluto far politica con l’educazione dei ragazzini. Gli stessi maestri e professori che inneggiano alla Costituzione, alla laicità della scuola, al denaro pubblico versato per tenere il loro culo al caldo con la pensione e tutto il resto assicurato. Occorre saper fare la guerra per portare la pace, a volte. E in Afghanistan i nostri ci stanno provando. Ma intanto c’è da fare una “guerra” pure qui all’idiozia gonfia e tronfia di ideologia che s’abbarbica ovunque e che abbatte vigliaccamente un Paese molto più di cento vigliacchi attentati al tritolo contro i nostri parà.

Davide Rondoni, da "clanDestino Zoom" n. 314 - 28.09.2009

giovedì 5 febbraio 2009

Le bugie del padre Beppino

"In questi giorni di passione e sofferenza, nei quali stiamo seguendo con trepidazione il "viaggio della morte" di Eluana Englaro, non posso restare in silenzio di fronte a un evento così drammatico.
Era il maggio del 2005 quando per la prima volta ho conosciuto Beppino Englaro. Eravamo entrambi invitati alla trasmissione "Porta a Porta". Da quel giorno siamo rimasti in contatto ed amici, ci siamo scambiati anche i numeri di telefono, per sentirci, parlare, condividere opinioni. Nel marzo del 2006 andai in Lombardia, a casa di Englaro, in compagnia di un conoscente (la foto in alto a destra lo testimonia, ndr).
Dopo l'appello a Welby da parte di Salvatore, Beppino capì che noi eravamo per la vita. Da quel momento le strade si divisero.
All'epoca anch'io ero favorevole all'eutanasia. Facemmo anche diverse foto insieme, e visitai la città di Lecco. Nella circostanza Beppino Englaro mi fece diverse confidenze, tra le quali che i rappresentanti nazionali del Partito Radicali erano suoi amici. Ma soprattutto, mentre eravamo a cena in un ristorante, in una piazza di Lecco, ammise una triste e drammatica verità.
Beppino Englaro si confidò a tal punto da confessarmi, in presenza di altre persone, che 'non era vero niente che sua figlia avrebbe detto che, nel caso si fosse ridotta un vegetale, avrebbe voluto morire'. In effetti, Beppino, nella sua lunga confessione mi disse che alla fine, si era inventato tutto perché non ce la faceva più a vederla ridotta in quelle condizioni. Che non era più in grado di sopportare la sofferenza e che in tutti questi anni non aveva mai visto miglioramenti. Entro' anche nel dettaglio spiegandomi che i danni celebrali erano gravissimi e che l'unica soluzione ERA FARLA MORIRE e che proprio per il suo caso, voleva combattere fino in fondo in modo che fosse fatta una legge, proprio inerente al testamento biologico.
In quella circostanza anch'io ero favorevole all'eutanasia e gli risposi che l'unica soluzione poteva essere quella di portarla all'estero per farla morire, in Italia era impossibile in quanto avevamo il Vaticano che si opponeva fermamente.
Ma lui sembrava deciso, ostinato e insisteva per arrivare alla soluzione del testamento biologico, perché era convinto che con l'aiuto del partito dei Radicali ce l'avrebbe fatta. (...)
Questa è pura verita'. Tutta la verita'. Sono fatti reali che ho tenuto nascosto tutti questi anni nei quali comunque io e i miei familiari, vivendo giorno dopo giorno accanto a Salvatore, abbiamo fatto un percorso interiore e spirituale. Anni in cui abbiamo perso la voce a combattere, insieme a Salvatore, a cercare di dare una speranza a chi invece vuol vivere, vuol sperare e ha diritto a un'assistenza e cure adeguate. E non ci siamo mai fermati nonostante le immense difficoltà e momenti nei quali si perde tutto, anche le speranze.
E non ho mai reso pubbliche queste confidenze, anche perché dopo aver scritto personalmente a Beppino Englaro, a nome di tutta la mia famiglia, per chiedere in ginocchio di non far morire Eluana, di concedere a lei la grazia, fermare questa sua battaglia per la morte, pensavo che si fermasse, pensavo che la sua coscienza gli facesse cambiare idea. Ma invece no. Lui era troppo interessato a quella legge, a quell'epilogo drammatico. La conferma arriva, quando invece di rispondermi Beppino Englaro, rispose il Radicale Marco Cappato, offendendo il Cardinale Barragan, ma in particolare tutta la mia famiglia. Troverete tutto nel sito internet www.salvatorecrisafulli.it
Noi tutti siamo senza parole e crediamo che il caso di Eluana Englaro sia l'inizio di un periodo disastroso per chi come noi, ogni giorno, combatte per la vita, per la speranza.
Per poter smuovere lo stato positivamente in modo che si attivi concretamente per far vivere l'individuo, non per ucciderlo.
Vorrei anche precisare che dopo quegli incontri e totalmente dal Giugno del 2006, fino a oggi, io e Beppino Englaro non ci siamo più sentiti nemmeno per telefono, nonostante ci siamo incontrati varie volte in altri programmi televisivi"
Pietro Crisafulli
Preciso che sono in possesso anche di fotografie che attestano i nostri vari incontri.
Catania, 04 Febbraio 2009

mercoledì 4 febbraio 2009

La luce e la speranza

[...] speriamo in un miracolo. Che non è la guarigione di Eluana (magari, accadesse) ma una specie di ripensamento, di un flash che faccia perlomeno sospettare a Beppino Englaro che c’è un qualcosa di invisibile, ma di reale, che fa della stanza delle Misericordine di Lecco un luogo ben più luminoso rispetto alla stanza della «Quiete» di Udine. Un qualcosa che assomiglia molto alla differenza tra l’amore e il nulla.
Michele Brambilla, da "Il Giornale", 04 febbraio 2009

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mercoledì 28 gennaio 2009

Chi è l'uomo, perché te ne curi?

Lettera letta da don Julián Carrón durante gli Esercizi spirituali degli universitari di Comunione e Liberazione

Carissimo don Carrón, il mio secondogenito, Giovanni, è nato con una gravissima cardiopatia congenita che lo porterà nel giro di qualche anno a un primo trapianto di cuore. A luglio di quest’anno ho ricevuto un’imprevedibile telefonata: era Vittoria, una ragazza di Roma, incinta al sesto mese, aveva appena scoperto che il figlio che aspettava sarebbe nato con una cardiopatia molto simile a quella di mio figlio. Mi comunicava che l’indomani sarebbe partita col marito per Barcellona allo scopo di abortire (in Italia era fuori tempo consentito). Una nipote di Vittoria, che vive a Como e che per bizzarre circostanze conosceva la mia storia, aveva recuperato il mio numero di telefono proponendo alla zia di chiamarmi.
Inizialmente Vittoria non voleva neanche il numero: era troppo doloroso rimettere in discussione la scelta presa e poi era preoccupata per la salute del marito, che in passato aveva avuto una gravissima crisi depressiva. Un impiegato tarlo l’ha spinta però a chiamarmi all’insaputa del marito.
Abbiamo parlato per mezz’ora circa. Mentre mi raccontava, capivo che la cardiopatia del suo bambino era più grave di quel che lei stessa pensava. Io ho omesso volontariamente di farglielo sapere per non aggravare la posizione del piccolo. Racconto a mio marito di questo ultimo particolare e lui, con decisione, mi dice: «Ma scusa, Giussani ti ha mai nascosto nulla della fatica del vivere, o invece ha scommesso tutto sulla tua libertà? Troviamo un modo intelligente perché Vittoria abbia tra le mani tutti i fattori per decidere».

Abbiamo pensato di metterla in contatto con la nostra cardiologa: sarebbe stata lei a informarla compiutamente sulla cardiopatia del figlio. L’ho richiamata per darle il numero e per chiederle di poterla richiamare l’indomani per sapere che cosa le avesse detto la dottoressa, anche per avere il pretesto di risentirla.

Il giorno dopo è Vittoria stessa a chiamarmi; mi informa che è all’aeroporto e che sta per partire per Barcellona. Mi si è gelato il sangue. Lei subito però aggiunge: «Abbiamo comprato il biglietto anche per Alice, la nostra primogenita, si parte tutti in vacanza, non abortisco più». È impossibile descriverti la gioia provata. Le ho detto che ero felicissima che la cardiologa l’avesse tranquillizzata, ma lei prontamente mi ha risposto: «La cardiologa non c’entra nulla. Avevo già deciso dopo la nostra telefonata: tu hai salvato la vita a mio figlio».

Dopo diverse telefonate è nata l’esigenza di conoscerla personalmente, per cui a metà ottobre sono andata a Roma in giornata. Inizialmente io e Sergio, mio marito, eravamo perplessi dato il costo del biglietto e l’impegno che richiedeva l’organizzazione familiare, ma è bastato ci chiedessimo: «Ma quale prezzo siamo disposti a pagare per obbedire a come il Mistero decide di accadere nella nostra vita?». Non ci è voluto molto perché insieme rispondessimo quello che ci ricorda la Scuola di comunità: «Fatto obbediente fino alla morte». Come l’atteggiamento di Cristo verso il Padre è stato l’obbedienza, l’atteggiamento che dobbiamo avere verso Cristo è lo stesso. L’obbedienza definisce l’atteggiamento di Cristo di fronte al Padre. Cristo riconosce, accetta e aderisce al disegno del Padre, così che anche quando il disegno del Padre implica la Sua morte, Cristo riconosce che quella è la strada della Sua vita. Per questo Dio Lo ha glorificato e tutto Gli ha dato nelle mani.

È per questo che abbiamo deciso che io andassi a Roma. A Roma sono stata accolta come una regina. Mentre passeggiavamo per la città ho chiesto a Vittoria che cosa l’avesse persuasa, dato che non mi tornavano i conti: non mi pareva di aver detto nulla di così decisivo. Lei mi ha risposto che l’aveva colpita il fatto che io fossi una donna felice e che con mio marito avessimo deciso di avere altri due figli dopo il nostro Giovanni, che ora ha cinque anni. Lei non si spiegava come fosse possibile che con un figlio così gravemente compromesso avessimo deciso non solo di non abortire, ma di avere altri figli. Semplice - le dicevo - avevamo bisogno di un modo per dire, senza dire, a Giovanni che la vita è buona, ma questo lui lo può capire solo se vede me e mio marito certi di questa bontà. Quale modo migliore se non regalargli dei fratelli? Lei ha aggiunto: «Questo mi ha persuasa».

Dopo aver passato la mattina e il primo pomeriggio insieme, mi hanno riaccompagnata all’aeroporto. Piero, il marito, era incredulo che io fossi andata a Roma solo per conoscerli, sprecando tempo e denaro. Continuava a dirmi: «Io pensavo che tu venissi a Roma per tuoi affari. Invece sei qui solo per noi. Nessuno al mondo lo avrebbe fatto». Io gli ho detto che in realtà c’era una lunga lista di amici che avrebbero voluto essere lì con me, ma che non erano riusciti a venire. Ma vorrei condividere con te un altro fatto, quello decisivo, quello che ha stravolto la mia vita. Mentre mi stavo dirigendo all’imbarco, Vittoria m’ha detto, scoppiando in lacrime: «Non voglio perderti. Tu hai donato la vita a mio figlio». Io ho sorriso, ma avrei voluto urlarle in faccia: «Non io, non io, ma Colui che la sta donando anche a noi in questo istante che ci sta consegnando l’una all’altra!». Ho taciuto. Sorridendo e guardandola negli occhi con una sconosciuta tenerezza le ho detto: «Non piangere!»

Durante il viaggio in aereo, ripensavo a questo fatto, ero rammaricata di non averle detto ciò che pensavo. La sera successiva, studiando la mostra su san Paolo che ho presentato a Bergamo, leggo da una udienza generale del Papa: «Secondo Paolo, la vita del cristiano comporta un’immedesimazione di noi con Cristo e di Cristo con noi. Paolo scrive: siamo stati completamente uniti a lui. Cristo è in noi, Cristo è in me». Finito di leggere ho ripensato alla scena che ti ho descritto e, quasi senza fiato, mi è venuto in mente l’incontro tra Gesù e la vedova di Nain: «Donna, non piangere!», e le restituisce il figlio.
Da allora questo è il mio pensiero dominante: è mai possibile che Cristo si sia così piegato sul mio nulla da rendermi uno con Lui? Ma chi è Costui che ha avuto così pietà del mio niente? Chi è Cristina perché te ne curi? Una poveraccia. E che cosa fa Cristo con me? Ha deciso di scomodarsi per questa povera donna, un niente, un nulla assoluto, che Egli ha deciso di rendere tutto con Lui, un tutt’uno, proprio una sola cosa, gratis. Ma chi è Costui? Dio mio, che gratitudine! Come al solito, l’Amato mi toglie il respiro.

Intanto il piccolo è nato, si chiama Filippo, e da circa un mese è ricoverato al Bambin Gesù. Nel frattempo Vittoria ha conosciuto Paola, un’amica del movimento a Roma, con sei figli. Anche vedere l’amicizia e la letizia di Paola sta dando aiuto e conforto a Vittoria e a Piero. Non so cosa sarà di loro, se mai si innamoreranno di Ciò che ha innamorato noi, ma so bene cosa voglio sia di me: pazza o equilibrata, malata o sana, tutta Sua, tutta Lui. Altro non mi interessa.
Cristina, Bergamo

domenica 25 gennaio 2009

Cosa è il destino?

Una scena. "Cosa è il destino?", ha chiesto il piccolo alla madre, colpito dalla morte di una ragazzina della sua età. E dopo le parole di lei, ha detto: "ho capito, è come quando tu vieni nella nostra stanza di notte, mentre dormiamo, e prepari i vestiti per domani". Esatto, d'esattezza furiosa.
Davide Rondoni, riportato su ClanDestino ZOOM n. 285